Dendrolatria
Distruggerete completamente tutti i luoghi dove le nazioni
che state per scacciare servono i loro dèi: sugli alti
monti, sui colli e sotto ogni albero verde.
Demolirete i loro altari, spezzerete le loro stele,
taglierete i loro pali sacri, brucerete nel fuoco
le statue dei loro dèi e cancellerete
il loro nome da quei luoghi.
ESODO 24.4 E 34.13
Il termine dendrolatria, dal greco déndron
‘albero’ e latria latréia ‘culto’,
indica una fase religiosa, individuata tra gli altri da John Lubbock1, durante la quale si è creduto
che le divinità avessero dimora ciascuna nel singolo albero e dunque,
estensivamente, l’atteggiamento primitivo di proporzioni nei riguardi
dell’albero cui si offrivano sacrifici per ottenerne protezione e fertilità.
La religione cristiana non ha mai approvato i culti pagani, anzi
li ha combattuti senza riuscire ad annientarli del tutto. Come sempre accade
nel succedersi di tradizioni e civiltà del passato, restano alcuni aspetti
trasformati e adattati alle nuove realtà. Così, aspetti dei culti pagani
permangono nelle cerimonie e feste dedicate ai santi cristiani, specie nei
paesi più isolati e quindi più radicati alle tradizioni. L’impegno della chiesa
è stato rivolto a trasferire i culti dalle divinità pagare ai santi.
Gli antichi Germani, le popolazioni celtiche, veneravano alcune
varietà di alberi, anzi questo culto costituiva la base stessa della loro
religione. Agli alberi venivano indirizzate offerte diverse: il ferro era
metallo raro, prezioso, perciò le offerte consistevano spesso in oggetti come
ferri di cavallo e chiodi2.
Quando Giulio Cesare (100-44 a.C.) invase la Gallia decise di fare
abbattere una foresta sacra ai druidi3, per arginare incursioni e attacchi; per l’assedio
venne impiegato il legname tagliato dalla foresta4. In seguito i cristiani
iniziarono l’opera di conversione delle comunità pagane; vietarono il culto
rivolto agli alberi e, conseguentemente, si impegnarono a distruggere le loro
foreste sacre.
Augusto (Roma, 23 settembre 63 a.C. - Nola, 19 agosto 14 d.C.)
proibì i culti druidici nelle Gallie. Sotto il regno di Tiberio, i druidi
furono soppressi con un decreto del senato; il provvedimento in seguito fu
ratificato da Claudio. Suplicio Severo ci racconta del più noto osteggiatore
dei riti legati ai boschi sacri: San Martino (316-397).
Durante un viaggio passò nei pressi di Atun dove, dopo aver
abbattuto un bosco sacro, si apprestava ad abbattere un grosso pino nei pressi
di un santuario. Qui incontrò la resistenza del sacerdote locale e delle
popolazioni pagane che lo attaccarono dicendogli: “Se hai un po’ di fiducia nel
Dio che dici di onorare, abbatteremo noi quest’albero che cadrà su di te; se il
tuo signore è con te, come dici, sfuggirai”. Accettò la sfida e si fece legare
sul letto di caduta dell’albero, cioè il punto preciso
dove l’albero doveva cadere. Quando stava per crollare si fece il
segno della croce e l’albero lo sfiorò di un soffio senza toccarlo. Il miracolo
convertì in massa gli spettatori. San Martino continuò a predicare, battezzare
nei villaggi, abbattere templi, alberi sacri e idoli pagani, dimostrando
comunque compassione e misericordia verso la popolazione.
1 Sir John Lubbok, uomo politico e
studioso (Londra 1834 - Ramsgate 1913); banchiere,
svolse una notevole attività di economista e di riformatore
sociale e di studioso di culti
antichi. Noto infatti per gli studi di geologia, antropologia e
preistoria è autore di importanti
opere: Prehistoric times, 1865; The origin of civilization,
1870; Marriage, totemism and
religion, 1911;
è noto altresì per la divisione della preistoria in età paleolitica e
neolitica.
Per questo ed altre vicende la sua fama ebbe ampia diffusione in
tutta la comunità cristiana. In Siria, Marcello, vescovo di Apamea, venne
ucciso dai pagani, furenti poiché aveva promosso l’abbattimento di svariati
templi, conformemente all’editto promulgato dall’imperatore Teodosio I il Grande.
L’opera distruttiva venne proseguita dal discepolo di S. Martino,
San Maurilio (? - 453) vescovo di Angers, il quale, nel tentativo di
evangelizzare il Comminges diede fuoco al bosco sacro; il territorio del bosco
distrutto fu consacrato a San Pietro. Continuò con determinazione San Benedetto
da Norcia (480-547) nei pressi di Cassino; abbatté gli altari pagani, recidendo
il bosco sacro ad Apollo; volse al culto cristiano i templi pagani,
consacrandoli al suo predecessore San Martino. A Montecassino costruì un
monastero dove risiederà per definire la Santa regola. A nulla valsero gli
anatemi dei concili provinciali; quello di Arles del 457 d.C. proibiva
l’adorazione degli alberi, delle fonti e delle pietre; quelli di Tours e di
Nantes, rispettivamente del 567 e 568 i quali si accanirono contro le persone che celebravano riti sacrileghi
all’interno dei boschi e contro gli alberi consacrati al demonio. L’accanimento
contro le diverse religioni galliche non portarono grossi cambiamenti ai culti
resi agli alberi che continuarono a perpetrarsi. La loro influenza era sia sociale che religiosa.
Va segnalato un monaco irlandese, Colombano (542-615) meglio
conosciuto come San Colombano di Luxeuil. Missionario noto soprattutto per aver
fondato da abate numerosi monasteri e chiese in Europa. È venerato come santo
dalla chiesa cattolica, ma anche dalle chiese ortodosse e dalla chiesa
anglicana.
Anche in Irlanda nel 665, alcuni sacerdoti cristiani fecero
abbattere un numero enorme di frassini ritenuti sacri, per segnare il trionfo
del cristianesimo sulle tradizioni locali.
Intorno al 670 Barbato vescovo di Benevento (?-683) da tutti
ricordato per aver convertito i Longobardi al cristianesimo, fece abbattere un
noce gigantesco. Nel posto dove fu tagliato il noce, fece erigere un tempio con
il nome di S. Maria in Voto; successivamente fu dichiarato santo e gli fu
dedicata una chiesa a Benevento e una a Salerno; è ricordato il 19 Febbraio.
L’impegno della Chiesa non cessò nell’estirpare le credenze pagane che
continuavano a rendere il culto ai boschi e agli alberi.
Esemplare la vicenda di Sant’Eligio (588 c.ca-660) vescovo di
Noyon, del quale leggiamo alcune prescrizioni in merito al comportamento da
tenere relativamente agli alberi:.
«Non prestate attenzione agli auguri, o agli starnuti violenti, o
al canto degli uccelli. Se venite distratti mentre siete in cammino o al
lavoro, fate il segno della croce e dite con fede e devozione le preghiere
della domenica, e niente potrà farvi del male […] Nessun cristiano, nella festa
di San Giovanni (24 Giugno) o di alcun altro santo dovrà eseguire solestitia
[riti del solstizio d’estate] o danzare o saltare o cantare canti diabolici. Nessun
cristiano dovrebbe mostrarsi devoto agli dei del trivio, dove tre strade si uniscono,
né partecipare alle fanes, feste delle rocce, delle sorgenti, dei boschi o degli
angoli. Nessuno deve fare lustrazioni (“purificazioni”) o incantesimi usando
erbe, o far passare il bestiame attraverso un albero cavo o un fosso perché
così lo si consacra al diavolo. Perciò, fratelli, rifiutate tutte le invenzioni
del nemico con tutto il vostro cuore e fuggite questi sacrilegi con orrore. Non
venerate altre creature oltre
Dio e i suoi santi. Evitate le sorgenti e gli alberi che chiamano
sacri. Perché voi dovete credere di poter essere salvati con nessun’altra arte
che l’invocazione e la croce di Cristo. Come sarebbe possibile altrimenti che i
boschi dove
questi uomini miserevoli fanno i loro riti sono stati abbattuti e
la legna proveniente da lì è stata data alla fornace? Vedete come è sciocco
l’uomo, che onora degli alberi morti, insensibili e disprezza i precetti di Dio
onnipotente».
2 G. Bellucci (1919), I chiodi nell’etnografia antica e contemporanea
perugina.
3 Sacerdoti degli antichi popoli
celtici. In Gallia, Britannia e Irlanda, al tempo di Cesare,
costituivano una delle principali classi della società;
Assistevano ai sacrifici, anche
umani, alla raccolta del vischio e presiedevano alle assemblee
religiose.
4 Caio Giulio Cesare, De bello Gallico.
Fig. 60. Incisione beneventana (autore ignoto) raffigurante l’abbattimento del noce delle streghe da parte del
vescovo di Benevento Barbato.
La contesa religiosa partiva dalla Francia per coinvolgere altre
regioni oltre la Gallia, e i paesi di origine germanica, come dimostrato dalla vicenda
di San Bonifacio (680 c.ca-755). Questo monaco benedettino, ritenuto l’apostolo
della Germania, di nome Vinfrido (Winfrid), fu convocato a Roma
dall’Inghilterra e ordinato vescovo dal papa Gregorio II, ricevendo il nome di
Bonifacio. Fu destinato in Germania ad annunciare la fede di Cristo a quelle
genti. Durante il viaggio di ritorno
in Germania nel bosco di Hessen fece abbattere una gigantesca
quercia alla quale le popolazioni pagane attribuivano poteri magici,
ritenendola sede del dio del tuono Thor. Quel gesto fu visto come una vera
sfida alle divinità e i pagani accorsero numerosi per assistere alla vendetta del
dio offeso. San Bonifacio, tuttavia prevalse e ai piedi della quercia abbattuta
farà erigere la chiesa dedicata a San Pietro. Ma presso Dokkum in Frisia5, venne ucciso nel 754 assieme ai
suoi
52 confratelli Benedettini dai Frisoni, che intendevano difendere
i loro santuari e le loro credenze. Poco più tardi, nel 772, Carlo Magno
durante una missione punitiva contro gli Angari, distrusse il santuario pagano dove
veniva venerato Irminsul6, un gigantesco tronco d’albero che, secondo
le credenze, aveva il compito di sostenere la volta celeste. La
sua campagna militare durò oltre 30 anni durante i quali il sovrano presenziò ai
battesimi di massa avvenuti fino al 785, quando fu repressa l’ultima ribellione
delle tribù pagane; il loro comandante, Vitichindo, battezzato
a sua volta, giurò fedeltà a Carlo Magno. Doveroso citare
direttamente il biografo Eginardo, che alla fine del conflitto aveva annotato:
La guerra, durata cotanti anni, si chiuse infine con adesione [dei
Sassoni] alle condizioni offerte dal Re, le quali furono la rinuncia ai loro
costumi religiosi nazionali e all’adorazione dei demoni, l’accettazione dei
sacramenti della fede e
religione cristiana, e l’unione coi Franchi in unico popolo.
5 La Frisia è la regione costiera
del sud-est del Mare del Nord ed è compresa tra
l’Olanda settentrionale e la Danimarca meridionale fino al fiume
Vida.
6 L’interesse per il luogo di
venerazione “al sostenitore della volta celeste” continuò
a essere molto alto da parte di alcuni gruppi nazionalisti che
ritenevano fosse
localizzato presso Externsteine, nella foresta di Teutoburgo della
Renania Settentrionale.
Negli anni venti del secolo scorso, lo storico tedesco Wilhelm
Teudt, aderente
al partito nazista, confermò questa tesi e nel 1933 propose che
Externsteine fosse
il luogo deputato alla commemorazione degli antenati. Il gerarca
nazista Heinrich
Himmler appoggiò tale idea e costituì la Externstein Foundation.
Tra i vari tentativi messi in atto dalla Chiesa Cattolica per
estirpare i riti pagani è sicuramente importante la disposizione di papa
Gregorio III il quale spostò la festa di tutti i Santi dal 13 Maggio al primo
di novembre. Lo scopo era quello di sovrapporla e sostituirla, alla festa celtica
di Samhain (Halloween) festa della fine dell’estate. Divenne festa di precetto
ed estesa dall’imperatore Ludovico I ai territori a lui assoggettati. Agli inizi dell’XII secolo, perpetuandosi
il culto dei boschi
in Germania, la chiesa locale ordinò di abbattere gli alberi; cosa
che si ripeté più tardi anche in Boemia dove il vescovo Ottone di Bamberga (1060-1139)
appreso che nei boschi attorno a Stettino7, vi erano querce sacre, non riuscendo a farle
abbattere a causa della reazione violenta dei
contadini del posto, fece diffondere la voce che molte di esse
erano abitate dagli spiriti maligni. Dovevano quindi essere abbattute e, se
necessario, anche con il suo intervento personale. Il suo biografo Herbord ci
tramanda che il vescovo e i suoi sacerdoti iniziarono subito, armati d’asce e
lance, a distruggere gli alberi nei boschi. Dopo che il popolo si accorse che
gli dei non si difendevano, si unì all’opera. Mons. Ottone lasciò solo una
quercia per la preghiera degli abitanti di Stettino, a condizione che sotto
l’albero non venisse praticata alcuna divinazione.
L’albero sradicato divenne in pieno medioevo l’emblema dei
Templari.
Fig. 61. “Prova” di San
Bonifacio mentre i pagani
sacrificano un ariete.
7 Stettino è ancora circondata da
tre boschi: Wkrza¥nska a nord, Bukowa a sud e Goleniowska a est.
8 Membri dell’ordine
militare-religioso del Tempio, fondato nel 1119, soppresso nel 1312, aveva come scopo la guerra contro gli infedeli e la difesa
del Santo Sepolcro.
Se l’albero sradicato era il simbolo dei Templari8, l’olmo (Ulmus campestris L.) acquistò un significato particolare per tutti i
“monaci guerrieri”; per loro era identificato come pianta sacra ed assumeva
significati di amicizia, protezione, sostegno, amore e perfezione. L’albero
dell’olmo
fu particolarmente significativo anche per i Cavalieri Templari, e
per estensione iniziò a far parte della simbologia cristiana e loro stessi
utilizzarono spesso le denominazioni “Santa Maria dell’Olmo” o “Madonna dell’Olmo”
per intestare le loro chiese. Prova ne è la chiesa principale di Castelmezzano
(Pz), la quale si trova nel centro del paese, e si chiama Santa Maria
dell’Olmo, edificata nel XII secolo proprio nei pressi di un olmo. La presenza della chiesa in
vicinanza dell’albero e dell’acqua, rivela una correlazione tra questi due
elementi di enorme carica simbolica: il primo potrebbe rappresentare l’albero
della vita e il secondo la fonte della vita stessa.
Fig. 62. Abbattimento nel 772, del tronco di un albero venerato dai pagani in territorio tedesco.
In riferimento ai Cavalieri Templari, troviamo un curioso
riferimento all’olmo nel Regno Unito, presso la località chiamata Temple, a
Balanradoch, nella regione scozzese del Midlothian. In una leggenda locale in
questo luogo sarebbe stata sepolta una parte del leggendario tesoro dei
Templari: “tra la quercia e l’olmo sono sepolti milioni, li potrai trovare gratuitamente”,
recita un vecchio detto locale (Twixt the oak and the elm tree / You will find buried the millions
free).
Il tentativo di eliminare il culto degli alberi dovette estendersi
per tutto il Medioevo, quando i parroci rimproveravano e scomunicavano le
persone che portavano offerte agli alberi o innalzavano altari sulle loro
radici e richiedevano protezione per la propria famiglia e per i beni intonando
canti o lamenti. Ma nonostante le scomuniche, i rimproveri e le minacce, il
culto degli alberi si tramandò per altri secoli. La venerazione degli alberi si
dimostrò essere ancora viva nel XIII
secolo, quando il vescovo Anselmo, nel 1258, a
Sventanistis, ordinò l’abbattimento di una enorme quercia sacra; la sua
resistenza era tale che l’ascia rimbalzo sul tronco colpendo mortalmente il
boscaiolo. Allora il vescovo in persona prese l’ascia per passare all’azione,
ma anche lui non riuscì nell’impresa, così ordinò di bruciarlo.
La lotta continuò anche nel secolo successivo. Tra il 1351 e 1355 a
Perm, città della Russia europea, a contrastare le credenze pagani profuse il
suo impegno un vescovo della chiesa ortodossa divenuto poi Santo, Santo Stefano
di Perm, (1340-1396). Questi decise di agire in modo drastico, poiché la sua
cella si trovava a poca distanza da una grande betulla, venerata dagli abitanti
del luogo; la abbatté nel cuore della notte. Il giorno dopo, gli idolatri
volevano ucciderlo, ma il Santo li fece desistere facendo notare che il “loro
dio” non poteva essere così potente se aveva permesso ad un uomo di abbatterlo,
e riuscì ad avviare il processo di conversione, tanto che Pimen, Metropolita di
Mosca e di tutte le Russie, lo designò Vescovo metropolita di Perm.
Nel XVI secolo, l’arcivescovo Carlo Borromeo divenuto santo nel 1610 e
ricordato dalla chiesa cattolica il giorno 4 novembre, fece diffondere il suo
pensiero e il suo monito in merito a culti e superstizioni:
«Il giorno delle Calende di Maggio, consacrato ai Santi Apostoli
Giacomo e Filippo si profana dal popolo con quelli alberi frondosi, che con
ridicolo spettacolo si alzano in più siti di quella Città, e si chiamano il
Maggio, o Majo7”.
Questa “gentilesca superstizione” venne condannata
dall’Arcivescovo di Milano Carlo Borromeo in quanto provocava gravi disordini,
appurato che alcuni uomini immersi nel piacere di quella azione ridicolosa
hanno tralasciato in quel giorno festivo di ascoltare la Messa, ed altri hanno
tagliati quelli alberi a viva forza, e con disprezzo sul fondo altrui, e spesse
volte ne’ beni della Chiesa. Dal che si originarono risse, inimicizie,
ingiurie, odi, e talvolta uccisioni; disturbavano i divini Offici e le
Prediche, i bagordi, le ubbriachezze, i motti osceni ed altre nefande
dissoluzioni».
Intimò ai vescovi di proibire quello spettacolo con pene ai contravventori
ricorrendo ai Magistrati in caso di bisogno. Suggerì, infine, di rivolgere in
quel giorno preghiere a Dio, con
“divote processioni ed in vece di quelle piante profane
d’inalberare pubblicamente, e con religiosità il Santissimo Albero della Croce
di Gesù Cristo nei luoghi più cospicui della città...”
Il V Concilio Provinciale di Milano (1579), invitava i vescovi a
trasformare le antichissime ed “empie” usanze che si tenevano il 10 maggio. In
tale giorno era consuetudine nei centri della provincia trasportare in tripudio
“frondosi alberi” da innalzare nelle piazze e in altri siti.
Ai vescovi venne imposto di scoraggiare la partecipazione a tali
feste cercando soprattutto di trasformare la ricorrenza pagana in occasione di
cristiana esultanza, di testimonianza a Dio e di professione di fede9.
"Si levi l’abuso che in questa diocesi è grande di drizzar gli
albori che si chiamano “Maggi” alle feste delle Calende di Maggio, che oltre
causare molti disordini, risse, et soprattutto scandali, dà segno più presto di
una pagana superstizione che di attione cristiana e in vece loro si drizzino
delle croci in tutti i capi delle strade pubbliche."
Così ammoniva il Nunzio Apostolico della diocesi di Alba nell’anno
1584, contro l’usanza diffusa d’innalzare “maggi” nel basso Piemonte. Da qui
forse la trasformazione di un rito pagano: si cominciò a portare grandi alberi
inghirlandati in processione, che poi venivano piantati.
Verso la fine del XVIII secolo gli alberi assunsero altri significati; non più
tagliati né abbattuti ma per altri motivi e altre finalità vennero piantati o
eretti in nome della libertà.
Durante la rivoluzione francese, per festeggiare l’abolizione
della tirannide e il ritorno della libertà, i repubblicani piantano il primo
Albero della libertà, nel 1790 a Parigi e poi in tutta la Francia.
Un decreto della Convenzione del 1792 ne regolava l’uso: l’albero
della libertà, è sormontato da un berretto frigio (con la punta piegata in
avanti come quello degli antichi abitanti dalla Frigia) rosso10 adorno di
bandiere; ai suoi piedi giurano magistrati, si bruciano i diplomi nobiliari, si
danza, si festeggia.
9 F. Di Palo, Stabat Mater Dolorosa. La settimana santa in
Puglia. Ritualità drammatica
e penitenziale, Fasano, 1992, p. 18.
10 Questo berretto è rimasto ancora
in uso, ed oggigiorno figura, come simbolo di
libertà, nelle bandiere dello Stato della West Virginia e New
Jersey, e come sigillo ufficiale
dell’Esercito americano (United States Army) nonché del Senato
degli Stati Uniti. In
America Latina è rappresentato negli stemmi di Argentina, Bolivia,
Colombia, Cuba, El
Salvador, Nicaragua e Paraguay.
Fig. 63. L’albero della libertà
al confine della Repubblica
di Magonza, durante
le guerre rivoluzionarie
francesi (acquerello
di Johann Wolfgang von
Goethe, 1793) La scritta
sul tronco: Passans,
cette
terre est libre – “Passanti,
questo paese è libero”.
(Presente il berretto frigio)
(Vd. p 222).
371
Alberi della Libertà vennero successivamente piantati in ogni
municipio della Francia e il fenomeno approdò in Svizzera e anche in Italia.
Generalmente erano piantati nella piazza principale delle città,
frequentemente tra contrasti delle fazioni opposte; molti furono
sradicati una volta passato il periodo rivoluzionario, generando analoghi contrasti
e dissidi fra cittadini di diversa appartenenza politica. Degli esemplari sono
ancora presenti in diversi dipinti dell’epoca.
Dopo la proclamazione del Repubblica Napoletana del 1799, anche a
Potenza venne eretto un Albero della libertà nella piazza principale; fu
abbattuto quando la violenta repressione condotta dal cardinale Ruffo, sfociò
in guerra civile e si concluse con l’uccisione di chi aveva sostenuto la
repubblica, tra gli altri il vescovo Giovanni Andrea Serrao.
Egli vi aveva aderito sia perché la sua ispirazione a San Paolo lo
induceva all’obbedienza all’autorità costituita, sia per le sue aspirazioni riformatrici
che sembravano essere rappresentate dal nuovo governo repubblicano. Si tradusse
in una violenta guerra civile.
Fig. 64. Etienne Bericourt, particolare della cerimonia di innalzamento dell’Albero
della libertà.
XVIII secolo (Vd. p.
222).
Nello stesso anno altri significativi episodi si ebbero in
provincia di Potenza: a Lauria, venne piantato l’Albero della libertà per
rappresen-tare l’emancipazione del popolo dalle tirannie. Non appena cessò la Repubblica
partenopea, i borbonici proclamarono il ritorno alla normalità
e la chiara intenzione di distruggere l’Albero della Libertà. Alla
reazione dei giovani liberali, intervenne il sacerdote Don Domenico Lentini a
placare gli animi, evitando altro spargimento di sangue; convinse i
repubblicani ad abbattere l’albero con la promessa che al suo posto ne avrebbe
fatto innalzare uno, “imperituro”, ribattezzandolo “del riscatto e della
salute”. Era una semplice croce in ferro battuto, su una colonna di pietra alta
non più di tre metri. A differenza di tutti gli
altri alberi, è ancora al suo posto! Avigliano fu la prima città
(precedendo anche Napoli) a piantare l’Albero della libertà e a proclamare la
Repubblica, che ebbe tra i suoi fautori i lucani Mario Pagano e Michele Granata.
Da Avigliano poi, i moti si estesero in tutta la regione, animati dalla
“Organizzazione democratica” guidata dagli aviglianesi Michelangelo e Girolamo
Vaccaro. Anche questa insurrezione venne repressa: gran parte della popolazione
era fedele ai Borbone.
L’albero è un bellissimo e vero simbolo di libertà!
La libertà ha le sue radici nei cuori della gente,
come l’albero, nel cuore della terra...
VICTOR HUGO, 1 marzo 1848
Fig. 65. Lauria (Pz), Croce su pilastro di pietra.
Ma torniamo alle piante propriamente dette e ai riti a loro
dedicati.
Le autorità ecclesiastiche, poiché non bastarono le ammende e le punizioni
a far sparire un culto radicato, considerata l’attrazione per gli alberi da
parte del popolo, solitamente suscitata dal timore per i fenomeni che non
sapeva spiegare, cercarono di focalizzare l’interesse verso quegli aspetti del
mondo vegetale di importanza determinante per la vita umana e, anziché
distruggerli gli alberi, li avvicinarono al culto dei santi e della Madonna.
Peraltro, tanti santi hanno notoriamente mostrato di sentire fortemente la
vicinanza con la natura tutta, basta ricordare il Cantico di
San Francesco; inoltre, nomi di santi come S. Silvano e S. Silvestro erano
naturalmente rapportabili al culto degli
alberi per l’etimologia di abitanti delle selve. Di qui, molti dei
santuari e cappelle dedicati alla Madonna: dalla Madonna del Bosco, alla Madonna
della Selva e della Foresta, fino a una onomastica legata al singolo albero
tipico del luogo: Madonna della Quercia, del Platano, del Cerro, del Frassino, del Pino e della Madonna dell’Olmo, di
cui si è fatto cenno in precedenza; e, infine, i santuari che si incontrano
sulle cime selvose delle montagne, dedicati a San Silvano e a San Silvestro, i quali
meriterebbero una più approfondita riflessione proprio in merito alla
collocazione. Nel corso del XIX secolo i festeggiamenti del maggio andarono in declino
abbastanza rapidamente, sia perché la Chiesa, per sradicare questa tradizione
di origine pagana, dedicò tutto il mese di maggio alla Madonna; sia perché più
tardi il socialismo fece del primo maggio la festa dei lavoratori, prima in
America, poi in molti altri Paesi, e anche in Italia, per ricordare i traguardi
raggiunti dai lavoratori in campo economico e sociale, già dagli ultimi decenni
dell’Ottocento.
Durante il fascismo non furono proibite le “feste di Maggio” ma improntate
al generale clima di propaganda. La chiesa cattolica rivolse la decorrenza del
“lavoratore” a S. Giuseppe perché anche i cattolici potessero partecipare a
pieno titolo ai festeggiamenti.
Queste ricorrenze sono andate perdendo le motivazioni magiche o
sacrali e hanno assunto le sole motivazioni di gioco, divertimento e prova di
forza, per riversarsi e concludersi nell’albero della cuccagna, in occasioni
che hanno smarrito l’autenticità dei fatti religiosi relegati a fare da
cornice. Solitamente il palo della cuccagna, prima di essere messo a dimora
viene ricoperto di grasso o altra sostanza scivolosa per rendere difficile
l’arrampicata da parte dei concorrenti. Così l’albero diventa una sorta di
palestra di gara per dimostrare agilità e destrezza dei robusti giovanotti del
paese a caccia dei suoi frutti; successivamente diventa anche una prova di
robustezza dell’apparato digerente dei suoi conquistatori e dei partecipanti
tutti.
L’albero della cuccagna legato in qualche modo al popolo latino,
attecchisce per tutta l’Europa,
nell’utopico paese dell’abbondanza, dove non si fa altro che
mangiare e bere, e ce n’è sempre più di quanto se ne desidera, insomma il sogno
di tutti i poveri del mondo. Ad Accettura si celebra la cosiddetta festa del
“Maggio” esportata anche nei paesi limitrofi, una manifestazione ancestrale,
emblematica della fecondità della natura. In questo rito nulla è collegato al
santo patrono San Giuliano. Verso questo aspetto specificamente pagano della
festa ha rivolto il suo impegno e la sua cura un singolarissimo vescovo: per un
trentennio del XX secolo, è stata notevole in Basilicata l’azione civilizzatrice del
Servo di Dio Mons. Raffaello Delle Nocche11 (1877-1960), 68° Vescovo della Diocesi di Tricarico (Mt).
Il suo impegno è stato rivolto anche a ridare dignità alle feste patronali,
mediante richiami ed esortazioni affinché non fossero mescolati il sacro con il
profano, il divino con il triviale, la preghiera con la crapula.
In occasione della quinta visita pastorale ad Accettura,
precisamente nel 1949, il vescovo sollecita l’arciprete De Luca affinché, in
merito alla festa del maggio si recuperi il travisato senso religioso. Nel
documento emesso in quella occasione, con accoramento e affetto paterno rivolse
agli “Accetturesi” queste raccomandazioni:
"Si convincano i nostri figli di Accettura che la tradizionale
usanza del maggio è contraria alla santità delle sane processioni, è occasione
di gravi offese alla legge di Dio e assai contraddice allo spirito di bontà
cristiana; perciò, mentre non ci stanchiamo di raccomandare ai buoni fedeli
l’obbedienza a questa nostra
piena esortazione e vivo desiderio, premuriamo il reverendissimo
arciprete a non far mancare mai la sua parola persuasiva al riguardo, affinché
durante le manifestazioni religiose tutto avvenga conforme alla bontà d’animo
degli accetturesi e alle loro tradizioni cristiane."
11 Il 10 maggio 2012 il Servo di Dio
Mons. Raffaello Delle Nocche è stato dichiarato
Venerabile. Papa Benedetto XVI ha autorizzato la promulgazione del
“Decreto di venerabilità”.
La fase successiva sarà la “Dichiarazione di beatificazione”. Il
processo per la sua
beatificazione cominciò il 14 agosto del 1963, quando il Capitolo
Cattedrale e la superiora
generale delle Discepole di Gesù Eucaristico rivolsero istanza al
Vescovo di Tricarico,
monsignor Bruno Pelaia, di apertura dei processi relativi alla
causa di beatificazione di monsignor Delle Nocche.
Altro intervento (ed ultimo) della chiesa ufficiale
sulle feste dei “maggi”, attive in Basilicata e Calabria, è quello del Vescovo
di Anglona-Tursi, in visita ad Alessandria del Carretto nel maggio del 1951
ricorrenza in onore del patrono San Alessandro.
Il presule invitò il parroco a non lasciare la festa
in mano ai procuratori, quindi a «moderare la cerimonia della peta [abete], che
sa di “feticismo”*».
*Termine senz’altro riferito alla forma di
religiosità primitiva, consistente nel culto (pagano) di oggetti naturali,
(alberi nello specifico) per alludere alle feste e ai rituali profani,
considerati come celebrazioni di particolare importanza con grande
partecipazione popolare.
Questo suggerimento viene attribuito quasi certamente all’Arcivescovo Metropolita Pasquale Quaremba (1905-1986) poiché, all’epoca dei fatti amministrava quella diocesi.
Questo suggerimento viene attribuito quasi certamente all’Arcivescovo Metropolita Pasquale Quaremba (1905-1986) poiché, all’epoca dei fatti amministrava quella diocesi.
Nel terzo millennio, dunque, sopravvivono i riti, rivolti agli
alberi in molte zone d’Italia e d’Europa, e si continua a fare degli alberi i
protagonisti delle feste, sicché possiamo affermare che le feste cambiano, l’attenzione
e l’amore per gli alberi restano!
Tratto da ALBEROLOGIA di Antonio de Bona www.alberologia.it
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